Tempesta perfetta sulla più importante agenzia talent del paese
Roma, 14 set. (askanews) – L’industria dell’intrattenimento giapponese si trova di fronte a uno scandalo che rischia di affossarla, in un momento in cui il J-pop è stato ampiamente sopravanzato dalla versione sudcoreana K-pop: Johnny & Associates, la più grande agenzia di talent nipponici, ha dovuto ammettere che il fondatore – Johnny Kitagawa – ha abusato sessualmente di ex dipendenti per qualcosa come 50 anni, spesso da quando questi performer erano ancora dei ragazzini.
L’effetto è stato devastante sul business della compagnia. Le scuse tra le lacrime e le dimissioni della presidente Julie Keiko Fujishima – nipote di Johnny e di fatto ancora proprietaria dell’agenzia – non sono riuscite a calmare le acque e nei giorni scorsi una serie di sponsor – a partire dai produttori di birra Asahi Group, Kirin Holdings, passando per la Japan Airlines – hanno annunciato il ritiro dai contratti. Altri – come l’assicuratore Tokyo Marine, la Suntory e la birra Sapporo – sono in via di riconsiderazione.
Johnny & Associates ha annunciato che per un anno intende rinunciare alle sue commissioni per le pubblicità e per le apparizioni televisive dei performer che fanno parte della sua scuderia. “Faremo il possibile per riconquistare la fiducia che abbiamo perduto”, recita in un comunicato sul sito internet l’agenzia, che ha creato un comitato formato da tre ex giudici per determinare i risarcimenti da offrire alle vittime degli abusi.
Non sarà tuttavia semplice ricostruire la fiducia, in un paese in cui le relazioni sono determinate in maniera decisiva dalla reputazione. E, in sei mesi di scandalo, di ricostruzioni, di testimonianze, di articoli, rispetto ai quali la compagnia ha reagito con ritardo, le cose si sono molto ingarbugliate per l’agenzia. A partire da quel documentario diffuso il 7 marzo scorso dalla BBC e intitolato “Predator – The Secret Scandal of J-pop”, in cui si accusa Johnny Kitagawa di abusi sessuali, partendo anche da vecchie vicende che si erano chiuse nei tribunali con un nulla di fatto. Da allora si sono aperte le cascate. Si sono susseguite dolorose confessioni, accuse, che hanno distrutto l’immagine dell’uomo che ha dato un contributo fondamentale a costruire il fenomeno J-pop (e di conseguenza anche il modello su cui si basa oggi il K-pop).
Johnny (Hiromu) Kitagawa, figlio di un monaco buddista giapponese trapiantato a Los Angeles e nato nel 1931, divenne famoso in Giappone negli anni ’50 come leader dei “Johnnies”, sostanzialmente la prima boy-band della storia nipponica. Ma il suo successo fu con la scoperta nel 1968 il lancio dei “Four Leaves”, anch’essa una boy-band. Nei decenni tutti alcuni dei più importanti successi nazionali e internazionali J-pop, a partire dai famosi SMAP, portano il suo marchio di fabbrica di Johnny & Associates, l’agenzia fondata nel 1962, che ha un giro d’affari attorno ai 20 milioni di euro annui.
In realtà, Johnny è stato a lungo chiacchierato. Nel 1999 la rivista Shukan Bunshun raccontò di abusi sessuali perpetrati nei confronti di alcuni dei suoi performer. Ne partì una causa civile per diffamazione contro il giornale, che fu assolto, di fatto con un’indiretta ammissione che in realtà la fama di predatore dell’ex cantante non fosse immeritata. La morte di Johnny nel 2019, però, silenziò per un po’ rumors.
Lo scandalo partito da marzo, tuttavia, ha riportato con prepotenza in primo piano la questione degli abusi nel mondo dello spettacolo giapponese. Junya Hiramoto, un ex idol che si dichiara abusato da Johnny, ha fondato un’”Associazione delle vittime degli assalti sessuali di Johnny” e promette di fornire un rapporto sulle violenze e di presentare una class-action davanti alla giustizia statunitense. E’ intervenuta persino l’Onu, attraverso il Gruppo di lavoro sugli affari e i diritti umani, che da luglio ha avviato un’indagine e ha definito “profondamente disturbanti” le accuse di abusi piovute sull’agenzia.
A capo dell’agenzia, da alcuni giorni, è stato collocato come presidente Noriyuki Higashiyama, un attore famoso che lavora per l’agenzia dal 1979. Una mossa che non sembra destinata a imprimere una svolta positiva per l’agenzia.
Ma, al di là del caso specifico, la vicenda di Johnny ha aperto uno squarcio su un mondo in cui l’omertà l’ha fatta a lungo da padrona. In un articolo per Newsweek Japan di diversi anni fa, all’epoca delle prime rivelazioni su Johnny, David McNeill si sentì rispondere da uno dei principali produttori della Tv giapponese: “Come produttore a me non interessa nulla di queste voci di scandali sessuali: cosa vuole che importi a noi che facciamo i programmi?” Una visione di corto respiro e che oggi ha come conseguenza una perdita di credibilità della televisione nipponica. Il Japan Times nel 2019 scisse, a corredo di un sondaggio che mostrava un declino della fedeltà al mezzo televisivo soprattutto tra i giovani, che “i media stanno tagliandosi da soli la gola”. E, non a caso, ormai il fenomeno J-pop è residuale: la rivoluzione K-pop ha ormai investito in pieno il Sol levante e le ragazze giapponesi pendono dalle labbra e dagli ancheggiamenti di efebici ragazzi sudcoreani, a partire dai globalmente noti BTS. Anche se, pure a Seoul, non è che le cose sul fronte dello sfruttamento sessuale, nell’ampio ambito del mondo dello spettacolo, vadano molto meglio.